In un mondo contemporaneo attraversato da profonde disuguaglianze, l’esperienza di un lavoro degno, quale principale fonte della riproduzione materiale e sociale, è costellata da ostacoli che si manifestano sul piano delle differenze generazionali e di appartenenza territoriale, così come attraverso la produzione simbolica di classificazioni che mettono in stretta relazione tipologia e condizione occupazionale con distinzioni di genere, linea del colore, estrazione storico-sociale.
Il mondo produttivo contemporaneo è parimenti caratterizzato dalla dematerializzazione, da processi di finanziarizzazione dell’economia e di informatizzazione del lavoro quotidiano e della sua organizzazione logistica. Ciononostante – e la recente pandemia ne è stata una prova cogente – il lavoro essenziale, nei diversi angoli del mondo, continua a essere svolto da persone in carne e ossa, e a essere definito da specifiche relazioni di produzione, di riproduzione e di cura.
Anche il lavoro della/sulla natura (il lavoro non-umano, come, ad esempio quello animale o sull’animale, e quello delle macchine) è cruciale in un’epoca in cui le biotecnologie mettono a valore gli elementi non umani del pianeta a fini industriali e secondo nuove retoriche della sostenibilità. Che cosa hanno da dire le antropologhe e gli antropologi che si interessano ai processi in atto nei mondi del lavoro? E che tipo di esperienza fanno di questi?
Per lo meno dalla Scuola di Manchester in avanti, il tema del lavoro ha indiscutibilmente esercitato un grande fascino per l’antropologia sociale e culturale, stimolando un prolifico interesse sulle implicazioni della sfera produttiva nelle trasformazioni sociali e nei processi di urbanizzazione; nei rapporti di riproduzione e nei sistemi di parentela; nelle pratiche di autodeterminazione e di resistenza, nei sistemi di classificazione e di subordinazione delle donne; nelle dinamiche di produzione del soggetto.
Il XII Convegno annuale della Società Italiana di Antropologia Applicata, in linea con le più recenti tendenze della ricerca antropologica, intende avanzare nella conoscenza etnografica e sviluppare un dibattito sui temi del lavoro declinati rispetto ad alcuni oggetti di indagine e di applicazione, tra i quali: continuum tra formalità e informalità, subordinazione e autonomia, capitalismo veloce e relazioni di dipendenza personale nelle pratiche occupazionali; città neoliberista come spazio di pianificazione e di osservazione del lavoro dipendente e autonomo, del non-lavoro e delle sue alternative (la cooperazione, il rifiuto del lavoro salariato, la disoccupazione, la “fuga” dalla città); politiche e poetiche del nazionalismo economico in relazione alla globalizzazione e de-localizzazione della produzione, ai processi di mobilità e migrazione; de-materializzazione del lavoro e del valore attraverso fenomeni come la finanziarizzazione, l’implementazione delle piattaforme digitali, l’informatizzazione, le gerarchie socioculturali interne agli algoritmi e la commercializzazione dei dati personali; messa a valore della cultura, del paesaggio, dei mestieri attraverso fenomeni di patrimonializzazione e di imprenditorialità culturale; privatizzazione del lavoro di cura, i nessi e i contrasti tra salute occupazionale, salute globale e cura dell’ambiente; messa al lavoro delle soggettività umane e non umane tra sfera tecnologica, riproduttiva e socio-politica.
Senza restringere le questioni del lavoro ai temi elencati, il Convegno invita ad affrontarli anche in dialogo con altre discipline e competenze (sindacali, imprenditoriali, economiche, urbanistiche, sanitarie, di social work e psicologiche, della formazione, agrarie e forestali, ecc.) e con una prospettiva applicativa e professionale.
Mettendo doppiamente in gioco il ruolo dell’antropologia, la tematica proposta quest’anno offre l’opportunità di riflettere criticamente sul ruolo applicativo della disciplina nei dibattiti contemporanei sul mondo del lavoro, soffermandosi sul contributo delle antropologhe e degli antropologi nei contesti professionali nei quali operano. Ancorché complesso e ambivalente, il campo d’azione dell’antropologia applicata risulta doppiamente decisivo, giacché consente di comprendere i differenti posizionamenti degli antropologi e delle antropologhe nel mercato del lavoro, ma altresì di indagare più da vicino come “pensano” oggi le istituzioni e le organizzazioni con cui essi/e collaborano.
Saranno pertanto accolte con favore anche proposte di panel e workshop che intendano affrontare, declinandole tematicamente oppure no, analisi e riflessioni relative alle condizioni e alle relazioni che si instaurano nella pratica lavorativa e professionale delle antropologhe e degli antropologi: potranno essere indagati, a titolo di esempio, aspetti legati alla precarietà del lavoro di ricerca e alla trasmissione del sapere sia in ambito accademico sia professionale; esperienze di alleanze interdisciplinari e professionali specifiche, così come di competenze non antropologiche che favoriscono l’inserimento e il successo lavorativo; i processi di marginalizzazione e di subordinazione; gli ostacoli e le buone pratiche politiche e comunicative di affermazione del “mestiere dell’antropologo/a”.